Lettera dai tuoi occhi
Trieste |8-15 settembre 2018| Piccolo Spazio d'ArT's
Installazione
diapositive appese e proiettate
curatrice: Alessandra Spigai
Lettera dai tuoi occhi parte da una serie di diapositive, realizzate da mio padre, che ho riscoperto per caso in un armadio di famiglia.
Da circa 400 diapositive ne ho selezionate quaranta, mettendole doppie in un unico telaietto e generando il racconto di una vita mai esistita, ma forse ancora più reale di quella che volevano immortalare.
Il progetto nasce come tentativo di dialogo tra un padre morto anni fa e una figlia che non ha avuto il tempo di chiedere “com'eri quando la vita non aveva ancora gettato il peso sulla tua esistenza?”.
Quello che ho tentato di sondare era la meraviglia negli occhi di un uomo giovane, un essere ancora completamente aperto alla vita, insieme alla dimensione della memoria e del tempo ricordo.
Ogni scatto è un tentativo di immortalare un attimo di tempo vissuto.
Ogni scatto, soprattutto quando i rullini costavano e costava lo sviluppo e la stampa della foto o l'intelaiamento della diapositiva, era scelto in quanto documento importante di ciò che si stava vivendo.
Non c'è nulla di straordinario nelle diapositive che ho trovato o selezionato, semplicemente c'è la documentazione dell'esistenza di una persona qualsiasi in un punto qualsiasi dell'Italia negli anni Settanta e Ottanta.
Eppure, ogni scatto racchiude in sé la potenza di una visione: la possibilità di un dialogo che si può dare anche postumo, proprio perché ciò che è rimasto fissato sulla pellicola lascia intravedere piccoli segnali di quella luce che quest'uomo giovane aveva negli occhi.
La mostra è suddivisa in tre parti: la prima comprende le 60 diapositive +1 che pendono dal ramo e rimandano ad attimi comuni immortalati da un padre; sono momenti di vita quotidiana, significativi solo per chi li ha fotografati, per chi era lì in quel momento, in quel qui e ora.
Sono momenti destinati all'oblio e nella mostra c'è il desiderio di salvarli, di salvare una piccola e insignificante memoria, sapendo già di andare incontro ad un fallimento. La seconda parte è composta da 10 diapositive + 1 inserite in fragilissimi telai di vetro ritrovati in una casa abbandonata. Le diapositive di questa sezione sono state scelte tra tutte e separate dalla massa delle altre: rappresentano una sorta di catalogazione della memoria, non sono fluttuanti come le altre diapositive appese. Questa sezione rappresenta in parte i momenti maggiormente significativi, quelli di cui ho un ricordo personale, quelli che una persona desidera preservare o quelli da cui vorrebbe separarsi. La scelta non casuale nell'ambito della memoria. La scelta indicata da un vissuto. Incomprensibile ad un occhio esterno, ma profondamente significativa all'occhio che sceglie. Le domande alle quali tento di dare una risposta sono: quali ricordi scegliamo di preservare? Cosa si cela dietro a questa scelta? Infine la terza parte è occupata dalle diapositive proiettate, in questo caso una specie di lavoro a quattro mani: lo sguardo di un padre e la rivisitazione di questo sguardo da parte di una figlia. Due diapositive in un unico telaio e la creazione di un dialogo, di una lettera vera e propria, un tentativo di comunicazione tra due mondi di per sé inconciliabili: quello dei vivi e quello dei morti. Una storia inedita, composta dal passaggio della luce sulle pellicole impressionate e unite. L'unione di due vissuti, di due visioni, in parte generata dalle stesse cellule che si trasferiscono da un essere all'altro, come accade nel caso della genitorialità. E' qui che la memoria può essere a tratti ancora viva, palpitante, capace di visione e di parola. Le immagini che emergono da questa unione postuma non sono chiare, appaiono come provenire dal mondo onirico, dal mondo dell'inconscio, il desiderio è quello che qualcuno le possa in parte decifrare e ascoltare a livello emotivo, trasferirle sopra la propria memoria personale, stratificandola. In questo progetto tutto cerca di rimandare ad una fragilità, ad una precarietà dell'esistenza ed è qui che la storia individuale si fa universale. Ciò che mi interessa è inoltre la dimensione sentimentale dell'arte, tentando di stabilire un aggancio con l'animo di chi guarda, di chi respira all'interno della stanza. Conta tutto: conta il rumore del proiettore, conta la densità e l'opacità del vetro, conta la fisicità del ramo sospeso, contano gli anni e che cosa hanno visto i muri che conterranno la mostra. Conta l'odore del posto, conta la polvere che si sedimenta in granelli piccolissimi e danza nella stanza durante la proiezione. Desidero che vengano coinvolti tutti i sensi perché non sia guardare un'opera, ma sia un essere dentro all'opera, essere con me in questo tentativo di comunicazione e di salvataggio di brandelli di una vita dall'oblio del tempo.